La polvere del marketing

Grafico a torta sugli effetti indesiderati dei neurolettici

Tibaldi G.(1), 2011. La polvere del marketing, la maggiore tollerabilità degli antipsicotici atipici come efficace messaggio promozionale. L’esempio più recente: la cardiotossicità. Dialogo sui farmaci • n. 4/2011. (1) Coordinatore scientifico Centro Studi e Ricerche in Psichiatria, ASL TO2, Torino. Nell'illustrazione, un grafico a torta dei principali 10 effetti indesiderati dei neurolettici.

Premessa
Come abbiamo segnalato nell’articolo precedente di questa serie (cfr, DsF 1/2011, pagg. 16-7) dedicato alla promozione scientifica dei nuovi farmaci da parte delle aziende farmaceutiche, Richard Smith, che è stato direttore del BMJ, ha messo in evidenza che l’apparente rispetto, da parte dei “ghost authors”, delle principali regole metodologiche contribuisce abitualmente a mascherare le intenzioni promozionali di un articolo. Tale rispetto formale, che impedisce una critica efficace da parte dei “peer reviewers”, si manifesta nella formulazione di una risposta apparentemente congrua ad una “domanda retorica”.

La più tipica delle “domande retoriche” è quella a cui si risponde confrontando la nuova classe di farmaci con una dose eccessiva del farmaco più importante sul mercato, e dimostrando, in tal modo, la maggiore tollerabilità della nuova categoria di farmaci. La maggior tollerabilità degli antipsicotici atipici è stata diffusa come una certezza – a partire dagli anni ‘90 – attraverso studi che li confrontavano con dosi di aloperidolo superiori a 12 mg al giorno, assolutamente inusuali nella pratica clinica quotidiana. La metanalisi condotta da Geddes e coll. ha consentito di verificare che la migliore tollerabilità degli antipsicotici atipici rispetto ai tipici, nel breve termine, era verosimile solo a dosi giornaliere di aloperidolo superiori a 12 mg/die. Al di sotto di tali dosi, raramente raggiunte, le differenze tra tipici ed atipici (sul piano dei soli effetti extrapiramidali) scomparivano. Secondo quanto prospettato da Richard Smith, la maggior tollerabilità degli atipici è stata quindi “costruita a tavolino” come risposta ad una “domanda retorica”.

Vecchie e nuove “domande retoriche”
Nel corso dell’ultimo decennio si sono venute accumulando le evidenze scientifiche che gradualmente confermavano quanto retorica fosse la domanda (e la risposta) sulla maggiore tollerabilità degli atipici. La principale ragione metodologica di questa sopravvalutazione della tollerabilità degli antipsicotici di seconda generazione era legata al fatto che gli studi clinici randomizzati che avevano portato ad autorizzarne la vendita erano di breve durata (intorno alle 20 settimane): gli effetti metabolici e cardiovascolari degli antipsicotici si manifestano già prima
delle 20 settimane, ma assumono piena rilevanza, e pericolosità, oltre questo termine. In secondo luogo, gli atipici venivano confrontati con alte dosi di neurolettici ad alta potenza, che hanno un maggior rischio di indurre effetti extrapiramidali (rispetto ai tipici di bassa potenza, come la perfenazina).

È stato lo studio CATIE (Clinical Antipsychotic Trials of Intervention Effectiveness) a togliere ogni dubbio residuo sui rischi metabolici e cardiovascolari connessi all’uso degli antipsicotici atipici ed a dimostrare che, nella pratica clinica reale, l’antipsicotico tipico scelto come farmaco di confronto (la perfenazina) mostrava un profilo di efficacia e tollerabilità assolutamente accettabile, se somministrato a dosi realistiche. Si è venuta progressivamente incrinando la “verità” che le aziende avevano pazientemente contribuito a diffondere tra i clinici: che i neurolettici tipici fossero farmaci ormai obsoleti, destinati ad una inevitabile estinzione.

In un editoriale sul Lancet, nel 2009, Tyrer e Kendall hanno così riassunto la somma delle evidenze disponibili: “[...] gli antipsicotici di seconda generazione non hanno nessuna caratteristica speciale, atipica, che li differenzi dai farmaci della prima generazione: considerati come categoria, non sono più efficaci, non producono miglioramenti di sintomi specifici, non hanno profili di tollerabilità realmente diversi dai farmaci di prima generazione, e sono molto meno costo-efficaci. La spuria innovazione rappresentata dagli atipici può essere considerata solo come una pseudo-novità, efficacemente diffusa attraverso le strategie di marketing delle aziende farmaceutiche, di cui solo ora siamo pienamente consapevoli [...]. Ma come è potuto succedere che, per quasi 20 anni, siamo stati tutti “spinti a credere” in una loro superiorità?”.

Nel momento in cui veniva scossa, alle fondamenta, la falsa convinzione sulla maggiore tollerabilità dei neurolettici atipici rispetto ai tipici e venivano elaborate e diffuse le linee guida per il monitoraggio dei gravi effetti metabolici degli antipsicotici di seconda generazione (ADA/APA, 2004), si sono andate diffondendo crescenti preoccupazioni, ed articoli scientifici che le avallavano, rispetto ai rischi di cardiotossicità dell’aloperidolo, della tioridazina ed, in specifico, dei neurolettici tipici. Anche in questo caso lo “sponsorship bias” si è tradotto nell’insieme delle strategie metodologiche e di pubblicazione selettiva dei risultati che consentivano di far supporre la presenza di una differenza (ad esempio, un livello di rischio superiore) dove una differenza non c’è. Queste preoccupazioni, e queste apparenti evidenze, si sono concretizzate nel ritiro nel 2005 dal mercato mondiale di tutte le specialità medicinali contenenti tioridazina, a causa dei rischi di effetti cardiaci gravi, la cui frequenza è lievemente più elevata rispetto agli altri antipsicotici, e nella Determinazione che regola in modo normativo la valutazione diagnostica, tramite ECG, della funzionalità cardiaca prima di avviare la somministrazione di aloperidolo. La Determinazione si è tradotta in una procedura vincolante per i medici che, nei Dipartimenti di Emergenza ed Accettazione, propongono un trattamento con neurolettici tipici, in fase di valutazione o di ricovero.

Questa procedura, alla luce delle evidenze attualmente disponibili, va estesa – immediatamente - a tutti i neurolettici, tipici ed atipici. La preoccupazione rispetto alla cardiotossicità dei soli neurolettici di prima generazione era infatti la risposta ad una nuova domanda retorica, per molti versi sovrapponibile a quella iniziale, che aveva indotto a credere ad una minor frequenza di effetti indesiderati in caso di utilizzo degli atipici. Lo studio di Ray e coll., pubblicato nel 2009 dal New England Journal of Medicine, ha consentito di calcolare il rischio di morte cardiaca improvvisa in una numerosissima coorte del Tennessee (44.218 utilizzatori di neurolettici tipici, 46.089 utilizzatori di neurolettici atipici e 186.600 controlli, che non assumevano neurolettici). La sintesi dei risultati, da parte degli Autori, è stata questa: “gli utilizzatori sia dei neurolettici tipici che degli atipici hanno tassi di incidenza di morte cardiaca improvvisa più elevati di coloro che non usano antipsicotici, con un rapporto tra tassi di incidenza (IRR) di 2,00 (IC 95% 1,69-2,35) per i tipici e di 2.27 (IC 95% 1,89-2,73) per gli atipici. Gli utilizzatori degli antipsicotici di prima generazione non presentano rischi significativamente maggiori. Per entrambe le tipologie di farmaci, il rischio negli utilizzatori aumenta in modo significativo con l’aumentare delle dosi” (
figura 1).

Le conclusioni di questo studio sono state immediatamente riprese in un Editoriale del NEJM, pubblicato nello stesso numero della rivista, che sottolinea la qualità metodologica dello studio di Ray e coll. e propone una lettura comparativa del rischio di morte cardiaca improvvisa con i rischi connessi all’utilizzo della clozapina (il cui uso è vincolato ad una rigida procedura di risk-management). Il rischio di morte cardiaca improvvisa (riconducibile ad un allungamento dell’intervallo QT e ad una torsione di punta) è di 2,9 eventi ogni 1.000 anni-persona (fino ad un massimo di 3,3 eventi per chi assume le dosi più elevate). Il rischio di agranulocitosi da clozapina è doppio, pari a 6,8 eventi ogni 1.000 anni-persona, mentre la mortalità per agranulocitosi da clozapina è 15 volte inferiore (0,2 eventi per 1.000 anni persona) rispetto al rischio di morte cardiaca improvvisa. Secondo gli Autori di questo editoriale, l’impatto di questo rischio specifico è quindi molto significativo, e le preoccupazioni su questi rischi sono moltiplicate dalle molteplici dimensioni dell’utilizzo off-label di questi farmaci: il primo suggerimento espresso nell’editoriale è il rapido abbandono delle forme di utilizzo off-label degli antipsicotici, dove i rischi sono certi, mentre i benefici sono privi di evidenze. Alla luce del confronto con la clozapina, il secondo suggerimento è l’applicazione di una procedura di risk-management (analoga a quella per la clozapina) per tutti i neurolettici, soprattutto nel caso in cui si preveda il ricorso a dosi elevate (superiori a 300 mg/die di clorpromazina equivalente), per minimizzare i rischi del paziente attraverso un monitoraggio periodico dei paramentri cardiometabolici. Per clozapina, infatti, la FDA dal 2003 ha imposto l’introduzione nella scheda tecnica del farmaco di un black box warning, che nel tempo si è trasformato in una linea guida per il medico atta al monitoraggio periodico del paziente prima e durante la terapia per minimizzare il rischio di agranulocitosi, protocollo che ha visto nel tempo un’amplia applicazione nella pratica clinica.

La mortalità crescente nei disturbi schizofrenici, e la “miopia longitudinale” dello sguardo clinico attuale.
La morte cardiaca improvvisa rappresenta solo una piccola proporzione degli eventi letali cui possono andare incontro i soggetti che ricevono un trattamento con antipsicotici. Negli ultimi cinque anni sono stati pubblicati metanalisi e studi di popolazione rigorosi, che documentano come la mortalità nelle persone con una diagnosi di disturbo schizofrenico è da 2,5 a 3 volte più alta rispetto a chi non riceve questa diagnosi e questi trattamenti. Il contributo più rilevante, sul piano della mortalità, è rappresentato – senza alcun dubbio – dalle patologie cardiovascolari che derivano dagli effetti metabolici, e dall’obesità, indotti dall’utilizzo continuativo dei neurolettici di seconda generazione. La mortalità è ancora più elevata nei soggetti anziani che, in caso di demenza, sono sottoposti a dosi spesso eccessive di antipsicotici.