La povertà è un fattore di rischio per le malattie mentali. A loro volta le malattie mentali sono un fattore di rischio per la povertà

ritratto dello psichiatra Michele Tansella

Fonte: http://www.larena.it
La povertà è un fattore di rischio per le malattie mentali. A loro volta le malattie mentali causano significative perdite di reddito. L'ultimo rapporto della Scuola di Sanità Pubblica di Harvard ha reso note le stime 2011-2030 sugli effetti delle malattie sulla produzione: quelle mentali saranno responsabili del 35 per cento dell'attesa perdita totale di produzione; le cardiovascolari del 33 per cento; il cancro del 18 per cento; le malattie respiratorie del 10 per cento e il diabete del quattro per cento. «Combattere le malattie mentali e finanziare la ricerca per scoprirne le cause e per migliorare le cure farebbe dunque risparmiare enormi somme di denaro, oltre che enormi sofferenze ai pazienti e alle loro famiglie». Lo dice il dottor Michele Tansella, professore di Psichiatria, direttore del Centro Oms di Ricerca sulla salute mentale di Verona. «Gli effetti dell'attuale recessione economica sulla salute mentale, come dimostrano i recenti casi di suicidio di imprenditori, saranno più evidenti nei prossimi anni. Basta guardare agli effetti che hanno avuto le crisi economiche passate, in varie parti del mondo. Sappiamo che l'aumento della disoccupazione, della povertà e dell'insicurezza sociale è associato ad un aumento dei tassi di suicidio, del numero di malattie mentali, dei disturbi legati all'uso di alcool e di stupefacenti. La Banca Mondiale ha stimato che la recessione economica provocherà un aumento di 30 milioni di disoccupati e la crescita di coloro che sono afflitti da "povertà estrema", cioè coloro vivono con 1,25 dollari al giorno, da 55 a 90 milioni. ». Dati europei relativi agli ultimi 30 anni, continua il professor Tansella, «dimostrano che ogni aumento, anche solo dell'uno per cento della disoccupazione si associa ad un proporzionale aumento del numero dei suicidi, specie di coloro con meno di 65 anni». Simili trend sono stati riportati dopo la crisi delle tigri asiatiche del 1997: 39 per cento di aumento di suicidi in Giappone, 44 per cento ad Hong Kong, 45 per cento nella Corea del Sud. Il collasso dell'economia dell'Unione Sovietica del 1991 si è accompagnato ad un aumento della mortalità del 20 per cento per il crollo dell'economia nazionale e l'aumento degli stili di vita a rischio. La recessione economica, sottolinea Tansella, «provoca anche un aumento dell'utilizzazione dei servizi di salute mentale, con un aumento dei casi di depressione, di disturbi d'ansia e di disturbi da uso di alcool, a loro volta responsabili di un incremento di casi di violenza domestica. La recessione economica colpisce quindi due volte, a tenaglia: da un lato determina un aumento delle malattie mentali e dell'uso dei servizi, dall'altra causa una diminuzione di risorse dedicate alle cure». Cosa fare? «Brian Cooper, psichiatra epidemiologo inglese», precisa il professor Tansella, «suggerisce interventi attivi e selettivi sul mercato del lavoro, con progetti speciali di re-training, programmi per chi lascia la scuola, per i disoccupati e i disabili, programmi di supporto alle famiglie a basso reddito con supporto per la cura dei figli e delle persone non autonome, controlli sulla vendita e sui prezzi degli alcolici. Infine chiede di potenziare i servizi di salute mentale di comunità per i gruppi a rischio e programmi speciali per lo sgravio dei debiti». Le conseguenze della recessione sono più gravi nei paesi poveri e negli strati più poveri della società, conclude Tansella. «Alcune conseguenze sono mortali. Interventi sociali ad hoc possono mitigare questi effetti e prevenire le conseguenze più drammatiche. Devono però essere tempestivi e diretti ai gruppi a rischio. I pazienti con disturbi mentali sono spesso "gli ultimi". Nelle politiche sanitarie devono salire nella gerarchia delle priorità, specialmente nei periodi di recessione economica».E.CARD.